Dal trapianto alla nazionale: Gabriele è un inno alla speranza.

03/06/2015

 

LIVORNO. C’è vita normale dopo un trapianto. Tanto normale – nell’accezione più banale e abusata del termine – che si possono anche vincere medaglie d’oro nello sport. O camminare a testa alta nel bel mezzo dell’assolato deserto sahariano. Gabriele Marrucci, 43 anni, nuotatore del Dlf Livorno, ne è l’esempio vivente-vincente.

Dialisi. Da ragazzino era un vero tormento, Gabriele. Iperattivo, folle, impegnato fra arti marziali, sci e windsurf, tutte attività estreme. Pensava di superare ogni ostacolo, battere ogni avversario. Poi però, una mattina, mentre saliva e scendeva i gradini dello studio medico allo stadio, ecco le prime avvisaglie di qualcosa che non va. Controlli, analisi, infine la scioccante conferma: glomerulonefrite di Iga. «Cosa vuoi che sia – sottovalutò qualche medico – fra trent’anni andrai in dialisi, ma stai tranquillo». E invece la dialisi, Gabriele, dovette cominciarla nel giro di pochi mesi. Estate 1993, l’estate della borsa di studio per il sogno chiamato Inghilterra. Già vinta, e a malincuore restituita al mittente. «In quel momento iniziò un lungo percorso che mi avrebbe portato al trapianto di rene – racconta – e, dopo due anni e mezzo di dialisi, l’ospedale di Cisanello trovò un organo compatibile. Fu così che nel gennaio del ‘97 entrai in sala operatoria».

Paura e speranza. Paura? In realtà poca. Speranze? Infinite. «Appena sveglio, finito l’intervento, mi sentivo onnipotente. Capisci: il corpo prima del trapianto si era deteriorato, il fisico rallentava, come se fossi finito in riserva di energia. Ecco, il ricordo nitido fu proprio la riacquisita potenza. Mi sentivo come Superman». Per ogni trapianto – spiega Gabriele, sono interessati 150 specialisti. «C’è un grande gesto civico dietro queste storie. I professionisti, e le famiglie che danno il consenso all’espianto: è un mondo fatto di passione».

Dal surf al nuoto. E quando il mese successivo Gabriele venne dimesso dall’ospedale, il primo pensiero fu quello di ricominciare a fare sport. «Ne sentivo il bisogno. I medici mi avevano assicurato che sarei tornato arruolabile, anche se non più a livelli agonistici». Marrucci suona così alle porte del Dlf di Viale Ippolito Nievo. «Mi presentò un amico comune. Ero convinto che bisognava essere per forza ferrovieri e invece no. Ho trovato fin da subito una seconda famiglia, accolto come uno di loro. Avevo agevolazioni in piscina, ed ero seguito da persone eccezionali. Come Enzo Sagone, il presidente, e Maria Rosa Passariello, la mia prima istruttrice». Gabriele poi parte per Madrid. Un anno di Erasmus, e quando torna a Livorno decide di coltivare a tempo pieno le passioni di sempre. Giappone e Canada. La certificazione medica dell’unità nefrologica gli consente di praticare l’attività. «Abbandonai le arti marziali e m’innamorai del nuoto. Mi avvicinai ai campionati italiani dei trapiantati e le medaglie iniziarono subito a fioccare». Tramite l’Aned e la Vite, due Onlus del settore, viene a conoscenza dei World Transplant Games. Evento perfetto, a cadenza biennale, per continuare a nuotare e viaggiare. Partecipa nel 2001 ai mondiali di Kobe, in Giappone. Nell’edizione successiva a Nancy (Francia), ecco al collo il primo oro. Conosce gente con problemi comuni, entra in ambienti empatici dove tutti si rispettano, «tranne nelle gare, perché lì ci diamo davvero filo da torcere». Marrucci diventa capitano della nazionale di nuoto trapiantati, indossa l’azzurro e sventola il tricolore. Prosegue nella striscia vincente in Canada, Australia e Svezia e la sua storia finisce in tv, ai Fatti Vostri e Uno Mattina. A settembre, volerà in Argentina.

Il messaggio. La vita riserva altre gioie a questo ragazzo alto, sorridente, dai capelli folti e sventolanti. Trova lavoro in un laboratorio (è laureato in biologia) e diventa padre, insieme alla fidanzata Marina, del piccolo Telemaco. «Al di là delle vittorie – spiega – il messaggio per tutte le persone in attesa di trapianto è chiaro: si può tornare a una vita, appunto, normale. Studiare, lavorare, avere figli e anche a livello sportivo amatoriale, gareggiare e perché no, vincere». E non solo: Gabriele – tenuto comunque sotto controllo dal Cnt (Centro nazionale trapianti), anche per quantificare i benefici dell’attività agonistica – fa informazione nelle scuole insieme a Aido, Avis, Admo e alla dottoressa Silvia Ceretelli. E nel 2010, ha partecipato ad una spedizione medica con i cammelli nel sud del Sahara fino al Niger, per monitorare il proprio stato durante lo sforzo fisico e portare medicinali a persone bisognose. «Erano le condizioni ideali perché lì ci sono pochi batteri, perfetto per noi che abbiamo le difese immunitarie di un bambino. In Africa abbiamo portato aiuti, e ho persino incontrato anziani settantenni che non avevano mai misurato la pressione del sangue. Questo mi ha fatto capire ancora di più che nella vita non bisogna mai guardare solo a sé stessi».

Tratto dal sito di AIDO.it

Jimmy Morrone, Il Tirreno

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