La malattia e gli invisibili

Rodolfo, ci manda questo pezzo, scritto d’istinto e con il cuore. Ce lo manda a testimonianza di molti malati invisibili, di persone che dopo il trapianto vivono una vita normale, conquistandosi con gli artigli piccole cose della vita. Una famiglia, il posto di lavoro o, semplicente, la salute!!

Alla boa del mio settimo anno da trapiantato renale, tiro le somme su molte cose che continuo a ritenere ingiuste ma a cui, mio malgrado, mi sono dovuto rassegnare in questo nuovo percorso di vita. Innanzitutto, non capisco perché mentre dal punto di vista medico il trapianto viene considerato come una “terapia di mantenimento”, e quindi non una soluzione al problema di base ma semplicemente una cura, per la Sanità italiana i trapiantati sono solo dei “disabilicchi miracolati a tempo” da sopportare, oppure dei sopravvissuti che possono serenamente vincere medaglie d’oro, lavorare 20 ore al giorno e fare 8 figli. Ok le esenzioni, va bene i contentini della legge 104 (che io per dignità non ho mai preso ma che pian piano ci stanno levando), ma un minimo di considerazione in più dal punto di vista sociale, lo possiamo avere?

Partendo dal presupposto che tutte le volte che ho raggiunto un obiettivo “normale” nella mia faticosa “second life” non mi è mai piaciuto farmi trattare da “fenomeno”, perché i fenomeni sono quelli che camminano per un chilometro a zampe all’aria e non io, ogni giorno, ripeto: OGNI GIORNO, debbo scontrarmi contro l’ignoranza di chi ti vede in salute, magari pure sereno e sorridente, e pensa che dietro al tuo benessere ci sia la più assoluta beata normalità. Tutto ciò fa sì che questo genere di persone trovino palesemente assurde le tue scelte di vita, ridicole le tue abitudini, o insignificanti le tue lamentele per gli acciacchi che ti porti dietro con coraggio.

Ora, non voglio stare qui a lamentarmi dei piagnistei altrui che mi sono dovuto sorbire in questi anni (mentre io mi tenevo per me i miei) tra dolorose unghie incarnite, lancinanti cicli mestruali, recondite appendiciti e strazianti sciatalgie, ma tutti noi trapiantati sappiamo bene come si sta quando arriva un K.O. tecnico alle conseguenze farmacologiche e fisiche dell’intervento. Si sta che ti fai forza, che tiri fuori la dignità che ti rimane per non attirare la pietà o l’empatia altrui, che dici abbozzando un sorriso “ora mi passa” pensando al lavoro che non puoi e non vuoi perdere, ai figli e alla casa da mantenere, agli affetti che vanno in paranoia se scali una marcia, al periodo in cui facevi dialisi e lo stare male era semplicemente uno stato fisico quotidiano.

Se c’è un punto d’unione tra la mia esperienza della dialisi e quella del trapianto, è proprio l’ignoranza e la mancanza di delicatezza che questa società ti propina quotidianamente, nessuno escluso: dai familiari più stretti ai colleghi, dagli amici ai conoscenti, dal personale medico che ti dovrebbe tutelare, alle più disparate figure di ogni giorno. Ecco, mi piacerebbe che qualcuno, qualche Istituzione, si facesse carico non solo di diffondere la giusta cultura delle donazioni e di esaltare le gesta di qualche “fortunato” come noi che finisce sulle cronache per un merito sportivo o altro.

Sarebbe bello che qualcuno raccontasse tutta la verità sulla vita dei trapiantati, non solo del gesto d’amore di chi ci ha salvato e la percentuale di qualità della vita riacquistata (o meglio, riconquistata), ma che si rendessero noti anche degli innumerevoli e incredibili sacrifici che ci sono dietro questo percorso, soprattutto psicologici e sociali, che possono durare pochi mesi come una vita intera, a cui dobbiamo sempre ed inesorabilmente rispondere come guerrieri con gli artigli e con le ali.

Ce lo meritiamo…

La malattia e gli invisibili … di Rodolfo Temporale