La vita è una prova d’orchestra

Una fetta di mortadella per andare a pulirsi il sangue, ovvero… Cronaca di una giornata tra i malati in attesa della dialisi. Un libro di Elena Loewenthal sull’universo sofferente dell’ospedale

Elena Loewenthal

Si intitola La vita è una prova d’orchestra il nuovo libro di Elena Loewenthal che esce oggi da Einaudi (pp. 240, e19,50). Si tratta di una serie di racconti ambientati nell’universo sofferente dell’ospedale, frutto di un anno e più di frequentazione dell’autrice in qualità di volontaria. Anticipiamo un brano da «La stanza dei reni artificiali», cronaca di una giornata in dialisi.

Oggi nevica, anche se è già primavera. Siccome la sala si trova al piano terra, ad altezza degli alberelli che si devono far bastare la sottile striscia di terriccio addossata al muro, si vede la neve che scende lenta a grandi fiocchi manco fosse la vigilia di Natale, e si vedono anche i rami carichi. Sino a ieri mattina gli alberi sembravano sul punto di fiorire, con le gemme gonfie che scoppiavano; poi verso le quattro, con la luce ancora alta perché le giornate già s’allungano, il cielo s’è ingrigito di colpo ed è diventato così basso che quasi sfiorava le antenne sui tetti. Però non è successo niente fino a stamattina verso le sei, sei e mezzo, più o meno l’ora in cui Gesuina si alza e apre le persiane. A quell’ora veniva giù qualche fiocco sparso, piccolo e secco che pareva polistirolo. Il tempo fa le bizze a tutte le stagioni, che comunque non sono più quelle di una volta… Alle otto nevicava fitto, con le strade impantanate di una melma grigia e collosa che aveva ormai soltanto una vaga parvenza di neve. Invece qui, alla finestra della sala, posata su quei poveri alberi storditi dai capricci di stagione, è proprio neve vera, bianca e soffice e promettente.

Giuseppe sta mangiando un panino con la mortadella. Se lo prepara con cura, una bella fetta spessa di mortadella che al supermercato sotto casa – uno di quelli piccoli dove hanno solo i cestini di plastica perché i carrelli non passerebbero fra gli scaffali – ormai sanno come tagliarla, e non ha più nemmeno bisogno di far vedere il polpastrello dell’indice per indicare che la vuole così, come mezzo dito nel senso dello spessore. Poi torna a casa, taglia in due la fetta e la infila nel panino. Lo avvolge prima nella carta oleata – perché ha diffidenza di quella plastica in rotolo – poi in due tovaglioli di carta, e si ficca tutto nella tasca della giacca a vento, per venire qui. A piedi, con qualunque tempo, in qualunque stagione. Pure oggi che nevica.

Anche Gennaro avrebbe voglia di pane, ma è una voglia mista a paura. Il pane è amido, l’amido è zucchero e lo zucchero è uguale a glicemia, e la glicemia è il suo spauracchio. Non vuole rovinare tutto ancora una volta, se dovesse arrivare il momento.

Maria è la più giovane, ha trent’anni e un figlio di nove, dice che s’è sbrigata perché non poteva permettersi di perdere tempo, nel suo stato. Ha scelto il turno del mattino così corre a scuola e riesce a prenderlo anche in questi giorni qui, perché non vuole che faccia il tempo pieno fino alle quattro e mezzo del pomeriggio, «così finisce che se lo tira su la scuola, mica la mamma e il papà». Qualche volta tarda un po’, perché non è che si finisca sempre alla stessa ora precisa, dipende da tante cose. Mattia però lo sa che la sua mamma non lo fa apposta a tardare, e non si perde d’animo. L’aspetta seduto sulle scale, tranquillo. Sa che arriverà, e sa anche che non deve andare con nessun altro anche se gli dice: «È tua mamma che mi ha mandato a prenderti». In caso proprio di emergenza, ma non è mai successo, verrebbe papà, capito Mattia? Invece è sempre arrivata lei, stanca e un po’ barcollante perché questo è l’effetto che ti fa, ma poi passa e non è niente, in fondo.

Roberto fa la Settimana Enigmistica. Tutta. Non salta un rebus, un indovinello, un anagramma. Solo le barzellette, che siano vignette o raccontate: non le sopporta e trova che non ci sia niente da ridere. E men che meno non vede la necessità di sforzarsi a leggere, per ridere.

C’è anche una signora che arriva, saluta tutti girando il capo di qua e di là facendo cenno di sì, come la regina Elisabetta tra la folla, poi lascia cadere le ciabatte per terra – sono rosa con il tacco e un pon-pon di pelo in cima -, si distende sul lettino e si copre con il lenzuolo fin sopra la testa. Spuntano solo i capelli biondo platino, ovviamente finti per via dell’età e del colore vistosamente artificiale. Probabile che dorma per tutte e quattro le ore. Ma forse no. Forse va da un’altra parte: una specie di metempsicosi temporanea, buona per incarnarsi nella ventenne incrociata per strada con le gambe lunghe e il corpo sodo, nella madre che accompagna i bimbi a scuola tenendone uno per mano, o nella signora nervosa alla guida del Suv. Chiunque, che non sia lei durante quelle lunghe ore lì, sotto il lenzuolo come un cadavere all’obitorio.

E tanti altri. Due, tre turni – mattina, pomeriggio, sera -, tre volte alla settimana sabato compreso tranne la domenica, perché è un diritto di tutti, anche se è un po’ un guaio perché dal venerdì alla domenica è lungo, e già la sera prima incominci a sentirti stanco ma di una stanchezza che mica è normale stanchezza, è tutta un’altra cosa. È il tuo sangue che è stanco e che corre stentando in discesa e in salita, gonfiandoti il corpo di una materia pesante e grumosa, ogni tanto quella roba lì arriva fino in gola e ti viene da vomitare. Meno male che poi arriva il lunedì.

Sono i dializzati. Si dice proprio così, con un participio passato anche se di presente si tratta, anzi di tanto tempo che se ne va via così, ad aspettare che una macchina ti abbia fatto le pulizie nel sangue perché i tuoi reni non ce la fanno più da soli, sono come un aspirapolvere rotto, uno straccio lacero, un mastello bucato. Dializzano tre volte alla settimana, per quattro ore filate, minuto più minuto meno, che fanno dodici ore e rotti alla settimana stesi su un lettino, con un tubo che va dal braccio a quella specie di lavatrice grazie alla quale sei vivo e puoi fare a meno dei tuoi reni inetti.

Autore: Elena Loewenthal
Titolo: La vita è una prova d’orchestra
Edizioni: Einaudi
Pagine: 240
Prezzo: 19,50 euro
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La vita è una prova d’orchestra di Elena Loewenthal