Lo sport come un farmaco dopo il trapianto di organi

Lo sport può essere come un farmaco per contrastare l’insorgere di molte patologie o contribuire alla loro cura. Fino ad ora si era sempre saputo che l’attività fisica, praticata con le dovute accortezze, facesse bene, ma non era stato mai condotto uno studio scientifico per certificare i benefici della pratica sportiva su persone che hanno avuto gravi problemi di salute e soggette a cure con farmaci. Ora il progetto “Trapianto… e adesso sport” – nato lo scorso anno con l´obiettivo di promuovere la ricerca sui benefici dell´attività sportiva per le persone che hanno avuto un trapianto d´organo – cercherà di dimostrare quello che si è sempre pensato. Un protocollo di ricerca, unico nel suo genere, prenderà in esame 120 persone che hanno ricevuto un trapianto di organo: 60 di queste (20 con trapianto di cuore, 20 di rene, 20 di fegato) seguiranno un allenamento prescritto da medici di medicina dello sport (e seguito da personale adeguatamente formato) mentre le altre 60 (quelle con maggiori difficoltà a raggiungere un centro dove allenarsi) non si sottoporranno ad alcun tipo di allenamento, ma saranno seguite dal punto di vista clinico. Saranno coinvolti i Centri trapianti di Bologna, Modena, Parma, Padova, Treviso e Verona. Il progetto ha l’Emilia-Romagna e il Veneto come Regioni capofila ed è promosso dal Centro nazionale trapianti, in collaborazione con l’Istituto superiore di sanità, l’Università di Bologna, il centro studi Isokinetic, il Gruppo Cimurri impresa e sport, le associazioni Aido e Aned. Testimonial dell’iniziativa sono Renato Villalta, campione di basket fino al 1991, ed Ettore Messina, coach della squadra di basket Real Madrid.

“Non è certo un’innovazione sostenere che lo sport faccia bene alla salute – sottolinea l’assessore alle politiche per la salute della Regione Emilia-Romagna Giovanni Bissoni -, ma lo è quando si parla di questa attività come di qualcosa assimilabile ad un farmaco, che può essere prescritto a pazienti portatori di situazioni complicate, con il coinvolgimento dei medici di medicina generale, degli specialisti e dei centri di medicina sportiva. L’ambizione – aggiunge Bissoni – è quella di arrivare, entro alcuni anni, ad una prescrizione standard dell’attività sportiva per determinati pazienti; l’obiettivo dell’attività fisica come terapia, come farmaco, è una nuova linea che ha necessità di dati scientifici, ma che, allo stesso tempo, rappresenta una svolta culturale”.

Il direttore del Centro nazionale trapianti, Alessandro Nanni Costa, spiega che l’attività sportiva per i trapiantati ha positive implicazioni: “La prima è la comunicazione dello stato di benessere che si raggiunge con il trapianto; il trapiantato che pratica un’attività sportiva riesce, poi, ad avere una forte autostima, migliora, perde la condizione di paziente e inizia a considerare il problema in termini di salute: questo è uno dei punti chiave, oggi non stiamo parlando della cura ma della salute del trapiantato. Il terzo punto riguarda il fatto di poter contrastare gli effetti dei farmaci antirigetto che alterano soprattutto l’assetto lipidico e creano problemi metabolici ed una condizione diabetogena. Se pensiamo che, oggi, le patalogie cardiovascolari sono la prima causa di morte nei pazienti trapiantati, possiamo dire che stiamo contrastando uno dei problemi principali per chi ha ricevuto in dono un organo”.

Qual è l’idea di fondo sulla quale vi state muovendo?
“Esistono già molte esperienze sportive di trapiantati in diverse maratone, come quella delle Dolomiti o la Nove Colli di Cesenatico, e in altre competizioni sportive. Se, però, l’attività sportiva deve essere considerata come un farmaco – aggiunge Nanni Costa – i suoi effetti devono essere misurati e misurabili e la logica di questo studio è, appunto, quella di vedere quali sono gli effetti dell’attività fisica per un periodo prolungato su un numero elevato di pazienti. Sotto questo aspetto è il primo studio al mondo, è la prima volta che si prevede uno studio scientifico che vada a verificare gli effetti della somministrazione di un’attività fisica da parte dei medici della medicina dello sport (e anche questa è una particolarità). Vedremo dopo due anni gli effetti”.

Il direttore del Centro studi Isokinetic di Bologna Giulio Sergio Roi aggiunge qualche dettaglio
“Il paziente sarà indirizzato ad un Centro di medicina dello sport del territorio, dove un medico, che ha seguito un corso apposito, lo valuterà da un punto di vista fisiologico; sarà, quindi, prescritto l’esercizio da effettuare in palestre attrezzate, con la presenza di specialisti in scienze motorie. Chi si allenerà farà almeno un’ora di sport per tre volte la settimana, con attività aerobica, ma anche di potenziamento; studieremo, quindi, due aspetti: la forma fisica generale legata al metabolismo aerobico e la forza muscolare. I primi risultati sono attesi tra un anno, e il progetto dovrebbe concludersi circa tra due. E’ un lavoro che ha un aspetto di ricerca – andiamo a vedere come si comporta il paziente, come reagisce – ma, allo stesso tempo – conclude Roi – tentiamo di creare sul territorio i presupposti per un modello che consenta di replicare l’esperienza”.

Sergio Stefoni, preside della facoltà di Medicina dell’Università di Bologna, porta prima di tutto la sua personale esperienza
“Come medico – racconta Stefoni – mi occupo di trapianto di rene da 40 anni e ho vissuto tutte le tappe di questa straordinaria pratica terapeutica. Andando indietro negli anni, possiamo ricordare che nelle prime fasi il nostro principale obiettivo era che il paziente sopravvivesse; nel tempo si è passati dalla meta della sopravvivenza a quella della qualità della vita, ad una sopravvivenza a lungo termine e ad una riduzione di tutte le patologie accessorie che possono sopravvenire. Già negli anni ’70 si cercava di far fare attività fisica ai pazienti in dialisi, con dei buoni risultati per quelli che la facevano, ma i tempi non erano maturi. Il concetto è stato, poi, esteso anche ai trapiantati, con lo scopo primario di migliorare la qualità della vita e di ridurre le patologie accessorie, ma anche di togliere quei farmaci che il paziente, a volte, deve prendere per contrastare patologie soprattutto metaboliche, collegate sia alla condizione di trapiantato che ai farmaci assunti”.

All’inizio ci sarà stato qualche timore
“Ancora una volta sono stati i pazienti ad insegnarci la strada da battere, perché noi medici siamo portati ad essere prudenti: l’idea di prescrivere attività fisica, anche di un certo impegno, ad un paziente è un problema sul quale riflettere bene. Alcuni nostri pazienti – racconta Stefoni – ci hanno raccontato l’attività fisica che facevano di loro iniziativa: mi viene in mente, ad esempio, un trapiantato di cuore e di reni che tutte le mattine fa sei chilometri di corsa all’andata e sei chilometri al ritorno sulla spiaggia di Siracusa; quando me l’ha raccontato mi sono sentito male io per lui. Oppure, un altro signore che mi ha raccontato di nuotare per 15 chilometri al giorno; guardando la mia faccia sorpresa ha detto che prima del trapianto nuotava per 30 chilometri! Per lui, quindi, era un’attività già più moderata. Al di là degli aneddoti, devo dire che come medico vedo bene questo tipo di attività, che però va praticata con giudizio e personalizzata in base alle esigenze. Per concludere, come preside della Facoltà di medicina voglio sottolineare che questo progetto può servire sia per l’attività di ricerca che per l’attività di didattica e formazione”.

Il progetto sarà realizzato con la collaborazione determinate dei Servizi di medicina dello sport. Ferdinando Tripi è il direttore di quello di Modena, oltre che coordinatore tecnico del Centro regionale antidoping
“Vorrei, prima di tutto, ringraziare l’Assessorato per questa avventura che coinvolge i Servizi pubblici di medicina dello sport – afferma Tripi -, avventura costruita insieme a partner davvero eccellenti. Voglio ricordare che, andando indietro nel tempo, i Servizi di medicina dello sport attendevano gli atleti agonisti mentre tutti gli altri restavano fuori dalla porta. Da diverso tempo, invece, i Servizi vanno fuori, promuovono l’attività fisica e sportiva come fattore di salute, intervengono nella promozione e nella prescrizione dell’esercizio fisico anche in quelle fasce di popolazione dove, normalmente, una volta non ci si sarebbe mai avventurati. In questo modo la professionalità dei medici dei servizi pubblici si accresce, ma soprattutto si crea una relazione positiva che può produrre davvero salute. Siamo veramente grati di questo, così come siamo grati di poter partecipare con partner importanti e le associazioni dei pazienti al progetto per i trapiantati”.

Le persone che hanno ricevuto un trapianto di organo impegnate in attività sportive sono sempre più numerose. Tra le tante le storie che sarebbe possibile raccontare c’è quella di Ezio Francheschini, trapiantato di rene, di Treviso. E’ il presidente del Gruppo ciclistico italiano trapiantati d’organo, iscritto alla Federazione ciclistica italiana dal 1993
“Del nostro gruppo – spiega Franceschini – fanno parte persone trapiantate che vogliono testimoniare la qualità di vita dopo il trapianto; siamo in venti, due trapiantati di cuore, un trapiantato di fegato e 17 trapiantati di rene. Dal 1993 al 1996 abbiamo partecipato a diverse gare agonistiche, poi abbiamo capito che era giusto testimoniare la qualità di vita che si ha dopo un trapianto e abbiamo girato l’Italia da Vipiteno fino a Pantelleria. Io ho 59 anni e ho avuto il trapianto di rene nel 1982; prima del trapianto praticavo tennis e sci, ma dopo l’intervento i medici mi hanno indicato un’attività sportiva aerobica e mi hanno consigliato la bicicletta, perché 27 anni fa la ciclosporina (farmaco impiegato per prevenire le reazioni di rigetto da trapianto d’organo) non era ancora molto utilizzata, si prendeva il cortisone e pedalare faceva bene alle ossa”.

Volendo dimostrare di stare bene e di essere in forma, non c’è, a volte, il rischio di esagerare praticando uno sport in modo troppo impegnativo?
“I medici – conclude Franceschini – ci hanno consigliato un’attività sportiva moderata, certamente non di impegnarsi nelle gare, ma la passione per la bicicletta ci ha dato la possibilità di fare delle gran fondo: abbiamo partecipato alla pedalata non stop di 1.600 chilometri, alla duemila chilometri dei Colli Euganei, a due edizioni della 24 ore ciclistica di Feltre. Il fatto più importante è, però, che riusciamo a portare in giro il messaggio del dono che abbiamo ricevuto, la qualità di vita che si ha dopo un trapianto”.

Piero Fresi, dell’Associazione Nazionale Emodializzati (ANED) di Milano, è trapiantato di reni da 18 anni
“Il progetto dello sport per i trapiantati è meraviglioso, in particolare per noi dell’Aned che crediamo nel valore terapeutico dello sport da più di vent’anni. Nel 2010 organizzeremo la ventesima edizione dei Giochi nazionali dei trapiantati, a dimostrazione che lo sport è una terapia. Io gioco nella nazionale trapiantati di calcio, gioco a tennis e mi rendo conto che quando rallento l’attività fisica i problemi insorgono più frequentemente. Parlando da trapiantato e a nome dei trapiantati posso, quindi, dire che si sta meglio facendo attività fisica. Se tutto questo, grazie al protocollo di ricerca, sarà scientificamente provato, saremo ancora più orgogliosi di essere stati in un certo senso dei precursori”.

Renato Villalta, uno dei miti del basket italiano, è il convinto testimonial del progetto
“E’ un’iniziativa bellissima – spiega Villalta – e mi fa piacere vedere l’ennesima conferma del fatto che lo sport fa assolutamente bene. Lo sport è uno strumento assolutamente importante, che dal mio punto di vista va potenziato e anche usato molto di più, non in questo caso specifico, ma in tutti gli altri, perché porta dei risultati incredibili a livello mentale, per l’autostima e quant’altro. Nel caso specifico aiuta la salute di chi ha avuto un trapianto. Io per questo progetto sono una piccola goccia, ma spero di poter contribuire a far sì che l’attività fisica e la pratica sportiva si diffondano sempre di più”.

Lo sport ad alto livello spesso è sotto accusa, ma possiamo dire che resta, nonostante tutto, qualcosa che può dare una marcia in più?
“Sono assolutamente d’accordo. Certo, nel caso di chi ha avuto un trapianto credo che l’attività sportiva agonistica ad alto livello non sia positiva al cento per cento, bisogna usare moderazione, ma lo sport e l’attività fisica praticati con il giusto equilibrio sono una cosa bellissima: ti aiutano a migliorare sotto tutti i punti di vista”.

Concludiamo con un messaggio per i giovani. Perché è bene fare dello sport?
“Penso che lo sport a livello giovanile sia importante perché aiuta la formazione di ragazzi e ragazze, aiuta a socializzare e a far gruppo, a capire cosa significa raggiungere dei risultati faticando giorno dopo giorno, lavorando senza seguire altre strade troppo spesso ingannevoli. Pensando a quelli della mia età o a chi è più anziano devo poi dire che sto imparando una cosa bellissima: l’importante è partecipare. Certamente è un’esperienza diversa da quando giocavo, allora l’importante era vincere. Porto l’esempio della mia passione per la corsa, nata grazie ad alcuni amici: ho partecipato a tante maratone, a partire da quella di New York e, credetemi, l’importante è partecipare e arrivare, non conta il risultato. Questo è il messaggio che mi sento di dare”.

Lo sport come un farmaco dopo il trapianto di organi – Articolo originale su SALUTER

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