Un Amico a quattro zampe; esperienze di dialisi peritoneale in compagnia di un inseparabile compagno di viaggio: il cane.
Scritto a cura di Nolo Roma.

La cura è un percorso lungo, un gioco di squadra che fai con gli infermieri e i medici. Le regole da seguire sono tante e inflessibili. Non rispettarle può voler dire mandare all’aria tutto l’impegno della squadra che lavora con me per la mia salute e rischiare conseguenze serie. Giuro che mi sono sempre impegnato e ho seguito le procedure con il massimo della precisione. Qualche volta non ho messo la mascherina, lo ammetto, ma almeno trattenevo il fiato 🙂
C’è una cosa che peró non sono riuscito a fare.

Quando parlai dei cagnolini che vivevano con me, l’infermiera sgranò gli occhi, si caricò di un bel respiro e tuonò: “i cani fuori dalla stanza!”. Purtroppo avrebbero potuto essere portatori di germi e non dovevo rischiare. Così la mia stanza diventò improvvisamente un ambiente sigillato e vietato agli animali. Ovviamente loro non hanno gradito e hanno covato vendetta. La prima volta che ho dimenticato la porta della stanza aperta, hanno messo in atto il loro piano diabolico e ho trovato una bella chiazza di pipì sul letto e un’altra sul pavimento. È stata questione di un attimo e la loro vendetta si è realizzata. Questo atto intimidatorio non mi ha piegato e ho continuato a proibirgli la stanza. La loro manifestazione di dissenso ha preso forme diverse nel tempo, tutte respinte dal sottoscritto. La cosa più difficile da ignorare era un continuo lamento, quasi un pianto, che proveniva da dietro la porta, senza speranza che smettesse, nonostante i rimproveri e le minacce.

Un giorno stavo lavorando nella stanza/bunker e stavo facendo la cura. Muoversi per casa mentre si è collegati al macchinario puó essere complicato: un filo ti fa bloccare una ruota, un altro lo tiri per sbaglio… quindi, per stare attento ai fili, tornando in stanza, ho dimenticato la porta aperta. Subito richiusa dopo pochi minuti, appena me ne sono accorto. Dopo un pò di tempo la cura finì e mi scollegai dalla macchina e Dorian, il cane maschietto, uscì dalla stanza con me. Porco cane! Ma da quanto era lì? Boh! Di sicuro più di un’ora, e, per di più, era stato dentro anche durante la delicata fase della disconnessione, una delle più suscettibili di infezione. Ero seriamente preoccupato e lo sgridai violentemente, di getto. Passata l’arrabbiatura, realizzai che era stato dentro almeno per un’ora, totalmente immobile e in silenzio, sotto la scrivania, ai miei piedi, altrimenti lo avrei visto. Ecco perché non avevo sentito stranamente nessun lamento, nessun pianto angosciante, finalmente. Non si era avvicinato alla macchina, non mi aveva toccato minimamente.

Infermieri, dottori, mi dispiace, non ce l’ho fatta. Da quel giorno ho cominciato, diciamo così, a dimenticare la porta aperta. Ogni volta più di 7 lunghe interminabili ore insieme, ma al guinzaglio non ci stava lui, ci stavo io. Lui fermo, muto, a sorvegliare. Forse voleva farmi compagnia, forse voleva proteggermi, chissá cosa frullava nel suo cervelletto. Il malato ero io, ma ci siamo sempre curati in due.

Lo so, non ho giustificazioni, sono stato stupido e sconsiderato. Ho messo a rischio tutto. Le infezioni che ho rischiato, nel mio caso, avrebbero potuto essere molto gravi.

Caro Dorian, ai medici non lo ho detto, rimarrà il nostro segreto. Non so se avrebbero capito quanto sei stato importante per me. Ero strapieno di medicine per far andare bene le maledette analisi del sangue. Tu invece sei stato una medicina per il mio cuore. Grazie amico mio.

PS. Purtroppo c’è ancora gente che, soprattutto d’estate, abbandona gli animali. Se sei uno di loro sappi che quella mattina, quando ti alzerai di nascosto da tuo figlio e andrai a legare il cagnolino al palo, per non avere impicci durante le tue vacanze estive, lascerai legata a quel palo anche la tua dignità, mostro. Lui rimarrà ad aspettarti.

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