SEMPRE IN CAMMINO E OLTRE

Sin dai primi vagiti era chiaro che quella neonata provava dolore, non stava bene e il colore del suo incarnato mutava giorno dopo giorno. diventava sempre più inappetente e ad ogni piccolo sorso di latte, urlava mentre il suo piccolo, piccolissimo ventre si rigonfiava a dismisura, mamma mia quanto piangeva!!! Ma cosa aveva?????????

“Signora, non sappiamo da cosa è affetta sua figlia. non ha la vita lunga. meglio faccia l’estrema unzione”

Grazie ad una madre tenace, per nulla paga di quella non diagnosi, quella neonata fu spedita a Bologna d’urgenza, alla pediatria dell’Ospedale Sant’Orsola, dove le diagnosticarono “il rene policistico infantile, una malattia genetica recessiva” che colpisce in epoca neonatale e comunque non tardiva (come il rene policistico dell’adulto) e che spesso porta il neonato alla morte.

A 40 giorni di vita espiantarono da quel piccolo ventre rigonfio, un grosso rene ormai diventato un grappolo di cisti infette e le lasciarono l’altro rene, con qualche ciste, ma ancora funzionante.

Ed eccomi qui.

Dopo l’estrema unzione ci fu il battesimo e un’infanzia di bimba sorridente, intraprendente e felice. Durante i ricoveri, trotterellavo tra i letti della pediatria, cercando altri bimbi con cui giocare o andare nella scuola dell’ospedale per leggere, disegnare. Ormai la mia seconda casa era questa, la pediatria del S. Orsola, e anche qui c’erano bimbi amici, adulti e tanto altro.

Vivevo questa dimensione con appartenenza, la medesima che provavo nella vita “fuori dall’ospedale”: in entrambe cercavo e trovavo amici, stimoli, sorrisi, momenti dedicati al dolore, adulti simpatici e non.

Arrivarono i 10 anni e quel rene superstite, quel piccolo Robison Crusue nel mio ventre che fino a qui mi aveva adeguatamente seguito e funzionato, diede segni di cedimento. era stanco e non sarebbe riuscito ad attraversare indenne l’età’ dell’adolescenza.

Mi attendeva la dialisi, anche se non sapevo cos’era.

Ero una bimba fortunata; con quella diagnosi neonatale ero arrivata a 10 anni, pure dopo l’estrema unzione!!!!!!!

Eravamo negli anni ‘80 e la nefrologia si stava sviluppando; Bologna era un centro piuttosto all’avanguardia e io ero li grazie a loro, la mia seconda casa, che tale sarebbe rimasta.

Mia madre e mio padre, pur già separati, si sottoposero entrambi agli esami di compatibilità Mia madre risultò idonea e mai nel suo volto intravidi un ombra di dubbio o paura: quella tenacia era diventata atto d’amore materno supremo, eppur per lei così naturale e spontaneo!!!

Così mia madre mi donò un suo rene e a 11 anni venni trapiantata per la prima volta.

A quei tempi il decorso sia dentro che fuori dall’ospedale era molto più lungo e complesso: dormivo da sola, portavo la mascherina in casa e fuori, mangiavo in piatti di carta usa e getta prima o dopo la mia famiglia e così per tanti mesi.

Trascorsero anni faticosi, non solo per questi aspetti, ma perché quel trapianto nonostante tutte le precauzioni e la compatibilità e l’aderenza alla terapia e tutto il resto, era un’odissea: ogni anno uno o due episodi di rigetto, ricoveri, infezioni di ogni genere, terapie pesanti di ogni genere, anche sperimentali pur di tenere quel rene.

Attraversai ogni genere di esame doloroso, feci di tutto ma quel rigetto stava assumendo le connotazioni di un rigetto cronico.

Eppure vivevo, vivevo comunque, conciliando ogni aspetto della mia vita: studio, lavoro, amici, amori, sorrisi, lacrime.

Sul mio cammino ho incontrato insegnanti mentori che mi sono stati a fianco in questa sete di vita e mi hanno dato gli strumenti affinché potessi studiare, prepararmi e vivere la mia passione, lo studio, senza perdere nulla anche quando ero obbligata a lunghe assenze o lunghi ricoveri che mi allontanavano dall’ambiente scolastico e dalla vita con i miei compagni.

Grazie a loro, in ogni tappa del mio percorso scolastico, ho potuto vivere la mia passione con gioia, e non solo come una privazione.

Alcuni di loro venivano a casa mia a farmi lezione, a darmi compiti e interrogazioni; per un anno ho vissuto anche questo, pur di non perdere la mia amata scuola.

C’erano giorni anche di conforto e stanchezza per quel peso che appariva così grande per le mie spalle di adolescente!!!!

Arrivarono i 18 anni, il diploma, la patente, l’iscrizione desiderata all’università’!!

Eppure quel trapianto rimaneva scostante, inaffidabile e precario.

I ricoveri si fecero più frequenti, la situazione peggiorava e io decisi di dire basta a questo accanimento terapeutico, firmando perché i miei genitori fossero estromessi da ogni informazione che solo io potevo dare loro e decisione. Qualunque essa fosse, dovevo lasciarli al loro percorso di elaborazione del lutto e dovevo andare avanti.

Condivisi questa decisione con il mio primario di nefrologia di Cesena prof. Feletti, per me un padre che mi ha accompagnata in questa ennesima avventura. Eh si perché il periodo della pediatria a Bologna era terminato e grazie a dio a Cesena, la mia città, nel frattempo era nato il centro di nefrologia.

Proprio qui il primario, guarda un po’, era il discepolo di un luminare della nefrologia bolognese, prof Bonimini, che avevo avuto l’onore di conoscere con tutto il suo staff proprio in occasione del mio primo trapianto da vivente e che ogni tanto, quando a Cesena non c’era posto per la degenza, rivedevo con piacere nei miei ricoveri bolognesi!!!!!

Arrivò l’emodialisi, quella che avevo rinviato per anni, grazie al gesto di mia madre.

Arrivò l’espianto di quel rene ormai in grande difficoltà.

E la mia vita continuava comunque a vele spiegate, nonostante tutto, senza che le limitazioni dettate dalla vita in dialisi le vivessi come restrizioni dolorose o sacrifici, ammetto che “il bere poco, l’alimentazione selettiva e disciplinata e tutto il resto” per i 4 anni e mezzo che li ho vissuti, non hanno rappresentato per me un motivo di rinuncia dolorosa o di difficoltà. ci convivevo relativamente bene.

Si certo, ho attraversato momenti molto difficili, dolorosi non solo fisicamente!!!!!

Ma anche nei momenti più oscuri, il mio spirito era mosso da un solo imperativo : la vita a tutti i costi, un desiderio antico che mi ha da sempre abitato e mai abbandonato e che io ho sempre coltivato e rispettato, anche quando era stremata dai collassi in dialisi, dai troppi fori, dalle fistole chiuse da trombi, una mappa di tante tracce come quelle sul mio braccio.

Entrai in lista trapianto, poi decisi di uscire, seppur con l’opposizione di tutti i medici, ma firmai e uscii: prima per me c’era la laurea, la mia amata laurea per cui studiavo da 5 anni, anche durante la dialisi e nonostante questo, avevo scelto e amavo lo studio.

Appena laureata, mi rimisi in lista e dopo 1 anno dal reinserimento arrivò la chiamata e per la seconda volta fu a Bologna, in quella città e in quell’ospedale che sin dalla pediatria, continuava ad accompagnarmi.

Mi svegliai 13 anni fa con un nome in testa: Luca.

“Chissà, forse quel giovane ragazzo (seppi dopo) che da quel momento io avrei portato nel mondo, si chiamava così!!!”

Dopo qualche anno dal mio secondo, fortunato, trapianto una delle mia due sorelle mi disse con il cuore gonfio di commozione e gratitudine, in occasione di una mia lunga camminata alla Basilica di san Luca di Bologna: “ io ti ho affidata a lei, alla madonna di san Luca. Quando ti chiamarono al trapianto, andai a farle visita sui colli bolognesi e le parlai di te. Lei ti conosceva già!!!!

Sarà per quello che al mio risveglio dall’anestesia avevo quell’eco in testa e nel cuore. Luca???

Ed ancora, sono qui.

Nonostante l’estrema unzione, le tante morti e le altrettante rinascite, con cuore appassionato e uno spirito guida che ha un solo comandamento: la vita!

Auguro vita a tutti voi, perché siate sempre i primi a desiderare il protagonismo dentro la vostra vita e a non accettare come unica e sola verità che sia la malattia ad esserlo. Ognuno di noi e’ di più e oltre!!!! Auguri di buona vita e buon cammino.

Sempre in cammino e oltre – Marika

Sempre in cammino e oltre

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