Donazione e Trapianto, Domande e Risposte

Gira tantissima gentaglia falsa e balorda sul web disposta a vendersi pure la mamma per due denari…spesso ci sono alle loro spalle a sponsorizzarli delle associazioni a noi già ben conosciute, che rinnegando i principi della scienza medica, altro non fanno che disinformare e gettare fango sull’operato di tutti coloro che in piena coscienza fanno il loro lavoro rispettando il protocollo internazionale e inattaccabile in materia di riconoscimento della morte cerebrale, condizione unica e indispensabile per poter procedere al prelievo e trapianto degli organi.

donazione e trapianto, domande e risposteLA RISPOSTA ALLA DISINFORMAZIONE

Perché il cuore batte spontaneamente in caso di morte cerebrale?
Perché il corpo è caldo all’atto del prelievo?

La pratica terapeutica del trapianto, diffusa ormai da decenni in tutto il mondo e da alcuni anni anche nel nostro Paese, può, allo stato attuale delle conoscenze mediche, realizzarsi solo se si utilizzano organi umani. Ciò comporta tutta una serie di problemi psicologici, morali e sociali, che possono essere affrontati e risolti ad una sola condizione: con la certezza assoluta che il donatore sia effettivamente morto al momento della utilizzazione dei suoi organi.

II prelievo è, infatti, un fatto drastico, definitivo, irreversibile per cui, per dare la propria disponibilità alla donazione, è necessario avere delle conoscenze precise, delle certezze in grado di cancellare dubbi e perplessità. Alla fine degli anni ‘50 la Medicina di emergenza ha fatto enormi passi avanti grazie all’utilizzazione di macchine in grado di sostituire temporaneamente le funzioni vitali bloccate dalle più svariate cause. Siamo diventati in grado di mantenere la ventilazione polmonare se cessa il respiro spontaneo, tenere la temperatura corporea a 37° C anche se la termoregolazione è inefficiente, purificare il sangue con i reni bloccati o distrutti. In questo modo l’organismo resta vitale, per il tempo che serve ai processi di riparazione spontanea o alle varie pratiche terapeutiche, in attesa del ripristino della piena funzionalità. Risulta quindi evidente che in questi decenni innumerevoli vite, altrimenti perse, hanno potuto essere salvate.

L’introduzione di queste tecnologie ha portato anche ad un’altra possibilità completamente nuova: la separazione temporanea (alcune ore) della morte del cervello da quella del resto dell’organismo. In alcune situazioni particolari, traumi cranici, ictus o altro fatto primitivo, questo organo muore per cui naturalmente cessano il respiro, la capacità di termoregolazione ed altri fondamentali riflessi. In particolare è l’assenza di ossigeno a determinare i processi che portano alla distruzione di tutte le cellule che compongono i vari tessuti. Mantenendo con le macchine la funzione respiratoria il cuore può continuare a battere spontaneamente per alcune ore e prolungare la vitalità di tutti gli organi: il cervello è morto, la persona non esiste più, ma tutto il resto dell’organismo si mantiene in condizione di “vita residua”.

I francesi per primi identificarono e capirono questa nuova situazione e la definirono chiamandola “coma depassé” che vuol dire “coma superato”, “condizione oltre il coma”. Questo termine, seppur scientificamente corretto, contiene una grossa ambiguità mescolando due condizioni completamente diverse: sappiamo cos’è il coma, “oltre” quello c’è solamente una cosa, la morte. Per evitare dubbi o incertezze oggi si usa il termine “morte cerebrale” con cui si indica uno stato irreversibile, ben conosciuto da tutti, che coincide con la scomparsa definitiva e completa della persona.

Perché il cuore batte spontaneamente in caso di morte cerebrale?
Una persona che subisce un grave trauma cranico, arriva nel Centro di Rianimazione in stato di coma e, molto spesso, non è in grado di respirare autonomamente. Per prima cosa, quindi, si reintegra il respiro con l’aiuto di una macchina, dopo di che si procede al tentativo di riparare quei danni che mettono in pericolo di vita la persona. Se gli interventi riescono, dopo un certo periodo di tempo si stacca il respiratore, perché il paziente riprende a respirare in modo autonomo. A volte, purtroppo, tutte le terapie attuate sono inutili, per cui si arriva a constatare l’avvenuta morte cerebrale: la persona non è più in grado di realizzare spontaneamente alcuna attività e la parvenza di vita è mantenuta dalle macchine, che tengono costante la temperatura e ossigenano il sangue. Di fatto, non appena diagnosticato questo evento, si dovrebbe staccare il respiratore, in quanto ogni intervento successivo è completamente inutile, ma da quando si applica la terapia del trapianto, si mantiene questa funzione per conservare la vitalità degli organi da donare. A questo punto il medico rianimatore comunica che è possibile effettuare il prelievo e chiede ai congiunti se il loro caro avesse espresso opposizione alla donazione.

Il quadro di questo drammatico momento è il seguente: il cervello è distrutto non solo sul piano della funzionalità, ma anche su quello anatomico perché le cellule morte cominciano a scomporsi (nelle autopsie si ha sempre questo referto: dopo alcune ore dalla loro morte le cellule nervose vengono demolite dai loro stessi enzimi): il respiro è mantenuto dalle macchine che non possono mai essere staccate in quanto ogni ripresa è impossibile; il cuore continua, seppur con l’aiuto di numerosi farmaci, a battere spontaneamente.

Questo fenomeno rappresenta uno dei maggiori ostacoli al prelievo. E’ fondamentale per il trapianto, in quanto l’attività cardiaca mantiene vitali gli organi, ma ingenera false speranze ed illusioni in quanto produce la sensazione che la persona cara non sia effettivamente morta, che ci sia la possibilità, anche minima, di vederla tornare in vita. Questa falsa parvenza di vita illude i congiunti perché allontana il momento definitivo della
separazione: meglio tenere la persona cara in una condizione di falsa vita piuttosto che accettare il fatto definitivo della separazione. E’ necessario, quindi, cercare di fare chiarezza anche su questo problema.

Il corpo umano è composto di organi, tessuti e cellule diversi, per cui su un piano strettamente biologico si deve considerare la persona morta quando tutte queste strutture sono distrutte. Ora noi sappiamo che non tutte le componenti organiche “muoiono” nello stesso tempo, per cui si considera non istantaneo, ma graduale il verificarsi della “morte biologica”, quella di tutte le cellule, per intenderci. Per primi vengono distrutti i tessuti “nobili”, poi via via gli altri organi ed apparati, secondo uno schema di successione perfettamente conosciuto dalla scienza medica da decenni.

Ultimi a “morire” sono gli annessi della cute, i globuli rossi, gli spermatozoi. Da secoli, ad esempio, si è osservato che barba ed unghie continuano a crescere per giorni dopo che una persona è effettivamente morta: senza per questo mettere in discussione questa diagnosi. Se una persona è morta a livello cerebrale, il mantenimento della funzionalità cardiaca ha lo stesso significato: una funzione viene mantenuta anche se la persona è rrimediabilmente defunta. Il cuore, infatti, è molto robusto: è vitale dopo oltre 20 minuti di assenza di ossigeno (4-8 minuti per il cervello); utilizza come fonte di energia tutto quello che è disponibile, anche quelle sostanze che sono scartate dagli altri muscoli; è indipendente dal resto dell’organismo perché contiene al suo interno i meccanismi che attivano la contrazione. Proprio perché è importantissimo, è protetto in modo quasi completo dai danni che possono capitare al resto dell’organismo. La sua autonomia è tale che, asportando un cuore e immergendolo in una soluzione nutritiva, continua a contrarsi per un certo periodo di tempo.

Ecco allora spiegato il quadro clinico della morte cerebrale: il cuore continua a battere spontaneamente per alcune ore perché è indipendente dal cervello, sempre che sia mantenuta artificialmente la respirazione e sia sostenuto da sostanze farmacologiche adeguate. Questo fenomeno è conosciuto già da parecchi secoli in quei paesi in cui la pena di morte veniva eseguita con la decapitazione. Le cronache tramandano di parecchi casi in cui il cuore ha continuato a battere per un certo periodo di tempo, anche se la testa era staccata dal busto.

I casi di morte cerebrale riproducono questa situazione: siccome il cervello è morto, si potrebbe addirittura asportare il capo senza che si verifichi alcun cambiamento apprezzabile. Questo quadro non resta invariato per molto tempo: dopo un certo periodo, che va da alcune ore a pochissimi giorni, anche il cuore cessa di funzionare e non è infrequente che non si possa attuare il prelievo degli organi donati in quanto nel tempo di osservazione previsto dalla legge, nonostante macchine e farmaci, si interrompe la contrazione cardiaca. Possiamo concludere, quindi, la presenza di questo segno vitale, proprio perché residuo, non ha alcun significato visto che può durare solo per pochissimo tempo dopo la morte del cervello e solo con artifizi tecnologici. La persona non esiste più, non può tornare in vita anche se parti del corpo mantengono funzioni parziali.

Perché il corpo è caldo all’atto del prelievo?
Un’altra obiezione che limita il prelievo e, di conseguenza, il trapianto è appunto legata alla presenza del calore nel corpo del donatore. Anche la temperatura, come la pulsazione cardiaca, è da sempre considerata un segno di vita, per cui la sua presenza nei casi di morte cerebrale può indurre ulteriori illusioni e false speranze. Per questo fenomeno la spiegazione è molto semplice. Il centro che regola la temperatura è, insieme a quello del respiro, nel tronco e, di conseguenza, cessa di funzionare alla morte delle cellule che lo compongono. Il corpo tende a raffreddarsi ed allora, sia per i tentativi di rianimazione, sia per mantenere gli organi vitali per il trapianto, si riscalda artificialmente la persona con una semplice resistenza elettrica incorporata nel letto.

In presenza di morte cerebrale, senza questo intervento la temperatura si porta, nel giro di breve tempo, al livello della temperatura ambientale.

Tutte le operazioni che abbiamo descritto avvengono nei Centri di Rianimazione degli ospedali pubblici che, al pari delle altre strutture sanitarie, hanno lo scopo di guarire le persone. In particolare in queste sedi si trattano le situazioni più disastrose, quelle malattie o quei danni che mettono in immediato e grave pericolo la vita degli esseri umani.

Quindi tutto il personale impegnato in questi reparti lavora per salvare i pazienti e ridurre al minimo gli eventuali danni che la patologia o il trauma che li ha colpiti possono produrre. La loro più grande soddisfazione è la stessa di tutto il personale sanitario: dimettere le persone nelle migliori condizioni di salute.

Vista però la situazione gravissima in cui in genere arrivano qui i pazienti, non è purtroppo infrequente che questi, nonostante gli sforzi, non riescano a superare le crisi per cui sono stati ricoverati.

In alcuni di questi casi i medici hanno anche un altro dovere: dopo aver tentato tutto, dopo aver utilizzato tutte le tecniche a loro disposizione, constatata in modo assolutamente certo la morte cerebrale, devono mantenere il corpo del defunto in condizioni tali da poter salvaguardare gli organi che possono essere utilizzati per i trapianti e tocca a loro l’ingrato compito di informare i familiari della possibilità di poter procedere al prelievo.

Questa situazione è per loro molto amara perché oltre a condividere il dolore dei congiunti per il triste evento, devono caricarli di ulteriori problemi. Hanno però una piccola consolazione: sapere che altre persone ammalate potranno vivere meglio o addirittura sopravvivere usufruendo degli organi donati.

Si consiglia di interpellare la propria ASL o AIDO (Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule) ini caso di dubbi o domande di altro tipo www.aido.it

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